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Crisi del credito: Borse, Governi e Banche centrali
 
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Lo short selling ora si negozia all'ingrosso

di Walter Riolfi

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8 ottobre 2008

«Abbiamo tutti sottostimato gli effetti di questa crisi», confessa l'amministratore di uno dei più importanti hedge fund di Londra. Forse per rifarsi degli errori passati, è tra quelli che in questi giorni hanno venduto pesantemente e allo scoperto i titoli delle banche britanniche che, anche ieri, hanno subito l'ennesimo tracollo: -39% Rbs, -42% Hbos, -13% Lloyd, -25% Aib, -9% Barclays. Non più tardi di un mese fa, molti dicevano di vedere schiarite all'orizzonte. E non si trattava di semplici operatori, ma dei principali attori del sistema bancario. Come Alessandro Profumo, l'ad di Unicredit, che il 28 agosto dichiarò: «Per quanto riguarda l'industria finanziaria per me il peggio è passato».

In effetti cos'è peggiorato a tal punto da far precipitare le cose? Il prezzo degli abs, ossia di quella carta tossica costruita sui mutui casa, è rimasto più o meno lo stesso, sia che si tratti di triple A o di semplici A; il costo dei credit default swap è salito di poco. Non si può dire insomma che siano emerse altre improvvise svalutazioni nelle attività delle banche, ammesso che fosse veritiera la fotografia degli asset finanziari comunicata dalle varie istituzioni finanziarie. Che il sistema, nel processo di pulizia, non fosse ancora a metà del guado, lo si sapeva. Ma i salvataggi effettivi da parte dello Stato di Fannie Mae e Freddie Mac e quello virtuale di Aig, uniti al fallimento di Lehman e al tracollo di Wachovia, più che creare nuove passività, hanno minato la credibilità stessa del sistema, innescando una corsa a ritirare i depositi presso le banche Usa e britanniche e congelando di fatto il mercato interbancario. Nessuno presta più soldi a nessuno mettendo in difficoltà anche le operazioni delle banche più sane che non riescono più a gestire i normali flussi di tesoreria. A tutto questo s'è aggiunta la crisi di credibilità verso le autorità finanziarie e politiche americane ma anche europee, viste le polemiche, i silenzi e gli scoordinati provvedimenti presi dai Governi nel Vecchio continente.

Per le istituzioni finanziarie la fiducia è il fattore principale. Si spiega pertanto l'impennata dei tassi Libor, mentre i rendimenti dei titoli di Stato stanno calando ai minimi storici. Al di là degli accresciuti timori di una imminente recessione, le azioni hanno finito per rappresentare l'attività finanziaria più tartassata: direttamente perchè la sfiducia porta a liberarsi dei titoli bancari e assicurativi; indirettamente perchè le Borse sono rimaste (oltre a i titoli di Stato) uno dei pochi mercati funzionanti. Con quello monetario ormai inesistente, per chi deve o vuole fare liquidità la vendita di azioni rappresenta la sola soluzione praticabile.

Anche la decisione di evitare un po' dappertutto la vendita allo scoperto di titoli finanziari è risultata inefficace. Se non si può andare al ribasso direttamente, lo si fa con i derivati: comprando opzioni put, vendendo allo scoperto Etf specializzati sul settore, vendendo future sugli indici. Lo s'è visto dall'attività sui derivati quasi raddoppiata rispetto a un mese fa, anche per la semplice necessità di difendere il proprio portafoglio. Ma il risultato è che, vendendo un indice o un paniere, si finisce per far scendere le quotazioni dei titoli in maniera ancor più generalizzata.

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